LA RIVOLTA DEI COLONI CONTRO LE TASSE
Fino a che le tasse restarono basse,le colonie conservarono buoni rapporti con il governo di Londra.La guerra dei 7 anni però aveva dissanguato le finanze inglesi e, una volta conclusa la pace, il Parlamento britannico cominciò a discutere una serie di aumenti delle tasse americane.La tesi a favore degli aumenti sosteneva che la guerra era stata combattuta anche per difendere i coloni dal pericolo di una conquista francese e quindi era giusto che essi contribuissero a risanare le finanze della madrepatria .La tesi contro gli aumenti, appoggiata non solo dai coloni, ma anche dalla parte <<illuminata>> dell'opinione pubblica inglese, sosteneva che le tasse potevano essere approvate solo da un Parlamento di cui facessero parte anche coloro che dovevano pagarle. I coloni, che non avevano questo diritto, chiesero quindi che una nuova legge ammettesse la presenza dei loro deputati nelle due Camere,tanto che il motto americano di quegli anni divenne No taxation without representation : <<Nessuna tassazione senza rappresentanza>>. A Londra prevalsero però le posizioni più rigide.Il governo vietò agli Americani di avere deputati in Parlamento e impose una serie di nuove tasse. Si cominciò con la marca da bollo, da applicare su tutti i contratti, sugli atti pubblici e persino su ogni copia dei giornali. Le voci di protesta più alte si levarono proprio dai giornalisti che fecero della stampa un potente mezzo di propaganda contro la politica di Londra. Poi vennero le tasse sulle merci esportate e importate, l'inasprimento dei controlli doganali e la lotta contro i contrabbandieri che cercavano di evaderle importando merci clandestine dall'America centrale. Infine l' Inghilterra stabilì il monopolio sul tè colpendo in questo modo uno dei prodotti di più largo consumo. I contrabbandieri di Boston reagirono a questo provvedimento gettando in mare le casse di tè che arrivarono dall'Inghilterra stivate nelle navi ancorate nel porto.